20/04/2007   
nEWS

Come prendersi cura dei genitori
Ecco chi può beneficiare di due anni retribuiti per assistere parenti portatori di handicap gravi
Si amplia il numero dei familiari di persone in situazione di disabilità grave ammessi a fruire del congedo straordinario. Anche i figli conviventi possono avvalersi di due anni di astensione retribuita dal lavoro per assistere i genitori disabili, in assenza di altri soggetti legittimati a prendersene cura. Ancora una volta è stata la Corte costituzionale a stabilirlo con una sentenza del gennaio scorso, così come avvenuto con precedenti pronunce quando il diritto al congedo venne esteso ai fratelli e sorelle conviventi e al coniuge. L’Inps in una recente circolare ha definito le condizioni per l’estensione del congedo al figlio.
Oggi dunque, i lavoratori dipendenti interessati al congedo straordinario sono nell’ordine:
• il coniuge convivente;

• i genitori, naturali o adottivi e affidatari;

• i fratelli o le sorelle conviventi se i due genitori sono deceduti o totalmente inabili (i genitori e i fratelli subentrano al coniuge convivente anche nella situazione in cui questi non lavori o presti attività di lavoro autonomo o rinunci a fruire del congedo); il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona disabile.

• Il figlio convivente subentra agli altri soggetti legittimati al congedo al verificarsi delle seguenti condizioni:
1. il genitore portatore di handicap grave non sia coniugato o non conviva con il coniuge oppure, qualora sia coniugato e convivente con il coniuge, questi non presti attività lavorativa o sia lavoratore autonomo, oppure abbia rinunciato al congedo;

2. entrambi i genitori del portatore di handicap risultino deceduti o totalmente inabili;

3. il genitore disabile non abbia altri figli o non conviva con alcuno di essi oppure, qualora abbia altri figli conviventi, questi non svolgano attività lavorativa o siano lavoratori autonomi, oppure abbiano rinunciato al congedo;

4. il genitore disabile non abbia fratelli o non conviva con essi, o se ha un fratello convivente questi non lavori o sia lavoratore autonomo oppure abbia espressamente rinunciato a congedo.
Per usufruire del beneficio è necessario che il familiare da assistere sia stato riconosciuto portatore di handicap in situazione di gravità (Legge 104/1992) e che non sia ricoverato a tempo pieno presso un istituto.
Il congedo ha una durata massima di due anni nell’arco dell’intera vita lavorativa di ogni singolo richiedente e può essere utilizzato in maniera continuativa o frazionata. Due anni sono anche il limite alla durata del congedo riferiti alla stessa persona con handicap, tra tutti gli aventi diritto.
Il beneficiario, nel periodo di astensione, ha diritto a un’indennità a carico dell’Inps, anticipata dal datore di lavoro, pari alla retribuzione percepita nel mese che precede il congedo, comprensiva del rateo di tredicesima, altre mensilità aggiuntive, indennità, premi, gratifiche. Il periodo di congedo è coperto da contribuzione figurativa ai fini previdenziali.
Fonte: Famiglia Cristiana

Invalidità e pensione
Sono invalido civile all’80 per cento, vorrei sapere se la maggiorazione contributiva per gli invalidi si applica su tutte le pensioni.
Lettera firmata
L’articolo 80 della Legge finanziaria 2001 dispone che a decorrere dal 2002, ai lavoratori sordomuti o con qualsiasi invalidità superiore al 74 per cento e agli invalidi di guerra o per servizio delle prime quattro categorie, è riconosciuto, su richiesta, per ogni anno di servizio svolto presso pubbliche amministrazioni, aziende private o cooperative, un beneficio di due mesi di contribuzione figurativa utile ai fini della pensione, fino al massimo di 5 anni. La maggiorazione spetta a partire dalla data del riconoscimento dell’invalidità, tranne che per i sordomuti, per i quali spetta dall’inizio dell’attività lavorativa. Il beneficio contributivo è riconosciuto per le pensioni, gli assegni di invalidità e anche per i supplementi di pensione.
Fonte: Famiglia Cristiana

È luogo di lavoro anche la strada
Farsi male mentre si va dall'ufficio alla banca è da considerarsi infortunio, non malattia.
Il lavoratore dipendente che si fa male sul luogo di lavoro è considerato in infortunio e non in malattia, con una serie di conseguenze a suo favore. La disciplina dell’infortunio si applica anche agli incidenti avvenuti nel percorso fra casa e ufficio, a meno che non vi siano state deviazioni e soste tali da far venire meno la connessione fra le lesioni subite e l’attività subordinata. Una recente sentenza di Corte d’appello ha chiarito che può essere considerato infortunio in itinere anche l’incidente avvenuto mentre il dipendente si stava recando in banca per ritirare lo stipendio. In questo caso il lavoratore era stato autorizzato a lasciare l’ufficio per recarsi all’istituto di credito. Mentre camminava sul marciapiede, l’impiegato era inciampato a causa della pavimentazione sconnessa e si era procurato lesioni piuttosto serie. Il certificato medico parlava di inabilità assoluta per 90 giorni e parziale per 60. L’ente previdenziale si era, però, rifiutato di considerare quella caduta come infortunio, sostenendo non vi fosse un vero nesso con l’attività lavorativa, malgrado l’incidente si fosse verificato durante l’orario di lavoro e nel percorso fra l’ufficio e la banca.
La questione è finita davanti ai giudici e la Corte d’appello, al termine della causa, ha accolto la richiesta del dipendente. In particolare, i giudici hanno considerato quella particolare modalità di riscossione dello stipendio più rischiosa per il lavoratore, oltre che di carattere eccezionale, dal momento che la regola generale vuole che la retribuzione sia consegnata sul luogo di lavoro. Perciò, secondo la Corte territoriale, il "permesso bancario" deve intendersi come servizio attivo e l’infortunio come avvenuto sul lavoro.
Fonte: Famiglia Cristiana



Fonte:
 

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