17/10/2009 -  
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- by Marco Luè


Tagli all’invalidità, torna un ”sempreverde”: ora ci prova anche il governo Letta

Negli ultimi anni non c’è manovra economica nella quale non si sia almeno provato ad introdurre una stretta su pensioni e indennità di accompagnamento. Da Tremonti a Monti, fino a Saccomanni, tentativi finora sempre falliti dopo la mobilitazione popolare delle associazioni

ROMA. Anno nuovo, vita vecchia. Come nella migliore tradizione, la presentazione della legge di stabilità porta con sé un annunciato taglio al settore dell’invalidità e della disabilità. Una storia che puntualmente si ripete ogni metà ottobre, e che da Tremonti a Monti, fino a Saccomanni, sembra non tramontare mai. Il copione è quasi sempre lo stesso: il governo, presentando la legge di stabilità, indica il settore delle provvidenze economiche per gli invalidi come uno di quelli da tagliare, talvolta prevedendo l’innalzamento delle percentuali di invalidità utili per ricevere l’assegno, altre puntando sul loro assoggettamento ad Irpef, altre ancora fissando un tetto di reddito oltre il quale si perde il diritto a ricevere il beneficio. Il governo Letta ha scelto questa terza strada, articolandolo in particolare sulle indennità di accompagnamento, che in effetti pesano in misura sostanziosa sulla complessiva spesa assistenziale. Chissà se stavolta le cose andranno davvero in porto o se, come puntualmente accaduto gli scorsi anni, le proteste e la mobilitazione delle associazioni delle persone con disabilità spingeranno l’esecutivo (e il Parlamento) a tornare sui propri passi e a cancellare le norme in questione dalla versione definitiva del provvedimento. Un gioco al quale ci siamo ormai abituati e del quale si potrebbe anche sorridere se non fosse che quei tentativi nel corso degli anni hanno prodotto ugualmente delle conseguenze, quantomeno dal punto di vista culturale e comunicativo (si pensi alla fortuna avuta dal concetto della “lotta al falso invalido”).

2012, governo Monti: l’Irpef sulle pensioni. Dodici mesi fa, era il 16 ottobre 2012, un governo Monti ancora nel pieno delle sue funzioni (la “sfiducia” del Pdl sarebbe arrivata solamente un paio di mesi più in là) pianifica di assoggettare alla tassazione Irpef le pensioni e le indennità di invalidità e di guerra, esentando solamente coloro con un reddito inferiore ai 15mila euro. E nel contempo decide, per i soli dipendenti pubblici, anche una stretta ai permessi per assistere i familiari disabili (legge 104/92). Le prime bozze che escono sulla stampa scatenano le proteste delle associazioni delle persone disabili e di numerosi semplici cittadini: a cascata l’allerta dei partiti che sostengono il governo e perfino i rilievi dei tecnici (anche quelli della presidenza della Repubblica, che sottolineano l’incostituzionalità del trattamento diverso fra lavoratori pubblici e privati sulla 104) sortiscono l’effetto di far desistere il governo dai suoi intendimenti. Nella versione definitiva della legge non c’è traccia delle norme pensate: resiste solamente l’Irpef alle pensioni di guerra, che da lì a qualche mese sarà ugualmente eliminato.

2011, governo Berlusconi: tagli alla spesa assistenziale. L’anno precedente, era il 2011, i tagli alla spesa assistenziale entrarono di gran carriera nella manovra correttiva del governo Berlusconi, quella fatta in fretta e furia sotto la pressione dello spread Bund-Btp alle stelle. Il testo prevedeva un taglio alle agevolazioni fiscali del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, con un impatto fortissimo per famiglie che portano in deduzione le spese mediche di assistenza specifica per le persone con grave disabilità (infermiere, terapista) e in detrazione le spese per ausili, veicoli, sussidi tecnici informatici, cani guida per non vedenti. Il provvedimento al suo stesso interno disponeva che il taglio si sarebbe potuto evitare se ci fosse stato in alternativa un recupero di 24 miliardi di euro ottenuto dal riordino della spesa sociale e assistenziale. Cioè, inevitabilmente, anche da un intervento su pensioni d’invalidità e indennità di accompagnamento.

2010, governo Berlusconi: i “falsi invalidi” di Tremonti. Veniva riproposto cioè un pallino che già era apparso evidente dodici mesi prima, nel luglio 2010, in occasione di un’altra manovra correttiva del governo Berlusconi: fin dal maggio precedente, con le prime indiscrezioni, la stesura del provvedimento fu accompagnata da una vera e propria campagna contro i “falsi invalidi”, sui quali la grande stampa nazionale concentrò la propria attenzione. Renato Brunetta, allora ministro, parlò di “decine di migliaia di false o non dovute pensioni”, mentre il suo collega Tremonti andò anche oltre, ricordando che “la cifra di 2,7 milioni di invalidi pone la questione se il paese può essere ancora competitivo” (e le associazioni lo criticano per il “grave stigma” che la “frase razzista” esprime quando presenta l’invalido come un parassita che blocca la competitività). In questo clima, venne presentata la proposta di legare l’importo dell’indennità di accompagnamento al reddito (è la stessa che rispunta oggi con il governo Letta), ipotesi che dopo le prime proteste venne abbandonata e sostituita con la decisione di aumentare la soglia di invalidità necessaria per ottenere l’assegno di assistenza mensile: le nuove pensioni sarebbero state assegnate solo a chi raggiungeva almeno l’85% di percentuale di invalidità, e non l’attuale 74%. Intere categorie di persone con disabilità (soprattutto fra i disabili intellettivi/relazionali, come le persone con sindrome di Down) ne sarebbero rimaste escluse. Immediata partì la mobilitazione delle associazioni della disabilità, con proteste in piazza Montecitorio ed emendamenti in extremis che sparirono, cambiarono e vennero ripresentati: colpi di scena parlamentari che finirono solo quando il relatore di maggioranza annunciò – poco prima dell’approvazione finale – un nuovo emendamento che sopprimeva per tutti l’innalzamento della soglia all’85% e non proponeva alcuna restrizione alle indennità di accompagnamento. Per le associazioni si trattò una vittoria, o almeno di una “non sconfitta”; per il governo fu una “marcia indietro”. Proprio come quella dell’anno successivo (2011) e di quello dopo ancora (2012). E in questo 2013 che succederà? (ska
dal “Redattore Sociale” del 16-10-2013

Affidamento ai servizi sociali: 10 cose che Berlusconi potrebbe fare - Tra proposte serie e semiserie, disponibilità e rifiuti, i responsabili di diverse associazioni non profit si esprimono sulla misura alternativa di cui l’ex premier potrebbe fruire nei prossimi mesi. Dalla tratta alla disabilità, dal carcere ai rifugiati. - Clicca qui


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